Dr.ssa Lisa Battisti, psicologa
Dr.ssa Cipriana Mengozzi, psicologa del lavoro e psicoterapeuta, Ergonomo Europeo Certificato
Dr.ssa Cristina Nunziati, psicologa e psicoterapeuta della famiglia)
Le situazioni improvvise e drammatiche mettono a dura prova le persone e il loro equilibrio psicologico. Le emergenze sono situazioni inedite a cui le persone spesso non sono preparate, per questo l’emergenza Covid-19 ha destabilizzato così tanto tutti noi. Ci siamo trovati impreparati davanti a uno scenario che non avevamo in mente, nemmeno nell’ipotesi più remota.
Il timore del contagio (contagiare o essere contagiati), il lockdown forzato con la restrizione dei diritti di libertà individuale, le misure di isolamento attuate dal Governo e l’impossibilità di ricongiungersi coi propri cari, la carenza di relazioni strette e in presenza, pur se sono state indispensabili sul piano sanitario e di garanzia del diritto alla salute, hanno provocato non poche difficoltà sul piano psicologico e umano.
Avere paura in questi casi è normale. La paura è una reazione fisiologica molto importante e utile, che serve ad attivarci e a mettere in atto comportamenti di protezione davanti a potenziali pericoli. Durante l’epidemia Covid-19 si è fatto leva sulla paura per far seguire le regole alle persone e sulla naturale ansia per sè e per i propri cari, che ha fatto da amplificatore alla percezione del rischio. In parallelo però, la ricerca di rassicurazioni, il controllo continuo delle informazioni hanno ridotto la chiarezza in merito agli eventi, fino a creare in certi casi l’effetto opposto, cioè il panico, che è il primo comportamento da contenere in una situazione di emergenza, in quanto reazione incontrollata, in cui la capacità di analisi razionale della situazione si perde completamente e la lettura del contesto inizia a lasciare il passo a fantasie distruttive e comportamenti incoerenti e talvolta autolesivi. Il panico aumenta il pericolo e modifica la percezione del rischio, soprattutto in situazioni complesse in cui è necessario agire con rapidità, ma anche con grande lucidità. In molte evacuazioni di massa, ad esempio, è proprio il panico che induce a mettere in atto comportamenti che paradossalmente uccidono le persone quasi più dell’emergenza stessa.
Le situazioni già in bilico o particolarmente complesse (violenze, disturbi alimentari, conflitti familiari, fragilità, handicap, anziani, non autosufficienze, malattie croniche, disoccupazione o perdita del lavoro) hanno provocato una solitudine profonda, che pur se generata dalla contingenza dell’emergenza rischia di rimanere addosso alle persone per tanto tempo, nonostante sia iniziata la ripresa. I lutti che alcuni hanno purtroppo subito, l’incertezza del lavoro e la riduzione delle entrate economiche sono tutti elementi che hanno peggiorato la salute psicofisica delle persone, facendo in alcuni casi insorgere psicopatologie come attacchi di ansia o di panico, disturbi post-traumatici da stress, depressioni, che si sono instaurate a partire dalle paure non gestite, dal disagio provato e soprattutto da un’incapacità di proiezione verso il futuro (tanto da arrivare in certi casi al pensiero o all’azione del suicidio).
Il futuro è una mancanza centrale nelle situazioni di emergenza: sembra spazzato via in un soffio, in un solo attimo la persona deve riprogrammarsi completamente e trovare le capacità di fronteggiamento della situazione, incrementando la resilienza e ritrovando forza e fiducia. Non sempre è facile, in un presente ostile e che sembra toglierci tutte le possibilità di rinascita. L’altro elemento temporale è il passato: come ci siamo comportati nel passato, per fare in modo di esser pronti agli imprevisti e agli eventi eccezionali? “…dopo un terremoto è necessario capire quali difetti strutturali abbiano contribuito al collasso di un edificio, ma si può imparare molto di più studiando il modo in cui sono state costruite le strutture che hanno resistito a tale guasto.” (Froma Walsh): come eravamo prima della pandemia? Come vivevamo, com’erano i nostri rapporti in famiglia, sul lavoro, con amici e parenti? “Per gestire una crisi occorre sapere imparare rapidamente… Per imparare rapidamente nel corso della crisi è necessario avere già imparato molto tempo prima” (Patrick Lagadec), come se la qualità della vita precedente fungesse da fattore predittivo per le capacità future di riconfigurazione. Certo è che il supporto sociale nei diversi ambienti di vita e di lavoro, la solidarietà e la visione comune aiutano ad uscire dal tunnel dell’emergenza, attraverso la coesione e la collaborazione reciproca per un fine comune. Ma non tutti hanno questa fortuna e soprattutto non tutti riescono a mantenere un equilibrio psichico tale da fronteggiare al meglio gli eventi, senza scoramento e con forza d’animo. E nemmeno può essere lo psicologo l’unico detentore delle conoscenze in materia, pur mantenendo la sua funzione professionale. Vi è infatti un’altra funzione, divulgativa e preventiva, che lo psicologo può ricoprire: diffondere le conoscenze relative agli effetti del trauma, al comportamento consono da tenere in emergenza, alla tutela e all’utilizzo funzionale delle relazioni interpersonali, in modo che ciascun attore del contesto riesca a interpretare al meglio il suo ruolo, per contenere il panico e gli effetti negativi delle situazioni d’allarme.
Le tematiche dell’emergenza, squisitamente psicologiche, devono quindi allargarsi in senso ampio alle conoscenze di tutti gli operatori sanitari, a partire dagli elementi di base della materia, in modo da favorire l’avvicinamento alla tematica da parte degli operatori sanitari interessati ad approfondire ed impiegare tecniche e metodi di intervento durante la loro attività professionale anche in questo settore. Come anche dichiarato dall’ONU, il compito del sostegno emotivo delle vittime durante gli eventi critici, è di tutto il personale che lavora in contesti di emergenza, con la responsabilità di promuovere programmi efficaci per alleviare le sofferenze umane, aumentare il benessere psicosociale e facilitare il processo di resilienza nell’individuo, famiglie e comunità. Emergenza però non vuol dire solamente agire in caso di terremoti e grandi catastrofi, ma anche sostenere le persone in caso di eventi critici e traumatici che accadono nella vita quotidiana. Attraverso il riconoscimento delle condizioni di vulnerabilità, dei bisogni e delle emozioni in gioco, ogni operatore sanitario potrà essere di sostegno alle persone coinvolte e dovrà utilizzare quelle competenze acquisite come “cassetta degli attrezzi” degli strumenti psicosociali, relazionali e comunicativi che devono appartenere a ciascun operatore per la gestione efficace delle emergenze e di eventi critici e traumatici.
Il lavoro in team, coordinato e complesso, organizzato in funzione del contenimento dell’emergenza, deve essere portato avanti da tutti gli operatori sanitari, che attraverso una base comune di conoscenze e competenze possono davvero fare la differenza, sostenere, aiutare e prevenire conseguenze anche gravi a livello fisico, sociale e psicologico, aiutando e aiutandosi reciprocamente nell’impresa del superamento dell’emergenza. Solo così, gestendo il presente e apprendendo dagli errori del passato, ritroveremo un futuro.